LA STERILITA’ PSICOGENA: ACCOGLIERE IL CAMBIAMENTO PER CRESCERE INSIEME

La sterilità psicogena: accogliere il cambiamento per crescere assieme

Ci sono più cose nella vita di ogni uomo
di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa.
James Hillman

Per molte coppie l’idea di trovare una nuova dimensione affettiva e relazionale nell’esperienza della genitorialità può essere stimolante ed edificante.
La coppia, che si appresta a diventare famiglia, anche senza rendersene conto, lascia spazio a vecchi modelli per accoglierne di nuovi: ci si predispone con gioia, trepidazione, a volte anche con un po’ di sano timore, nella ricerca di una gravidanza che implicitamente viene ricoperta di moltissimi significati.
Per uomo e donna essere genitori vuol dire attestare il cambio di un ruolo sociale, predisporsi davanti ad altre famiglie con una veste differente, accettare nuove interazioni ed anche lasciandone andare di vecchie. La famiglia felice, quella vacanza al mare assieme ad altre famiglie, la possibilità di allattare, di insegnare la vita, quella casa con il giardino sognata con un po’ di pudore, quell’idea di sentirsi più completi, più uomini e più donne, più giusti, più in linea con qualcosa di inspiegabile, rimbomba nella fantasie dei futuri genitori.
E’ un cambiamento epocale soprattutto, in una società come la nostra in cui sembra necessario (e di fatto lo è), per essere ritenuti famiglie a tutti gli effetti, avere figli ed avere un progetto che li riguardi.
Ma quando un figlio non arriva che cosa succede? Che cosa accade quando le aspettative riempite si svuotano di colpo, quando la natura sembra non voler fare il suo corso, quando il ventre non si arrotonda come dovrebbe, quando fare l’amore diventa una forzatura, un protocollo da seguire nei giorni pari della settimana? Quando il periodo fertile viene vissuto come àncora di salvezza a cui aggrapparsi, quando i significati della sessualità vengono soppiantati da bisogni di altra natura, quando essere famiglia è un compito che bisogna portare a termine?
Per alcune coppie la ricerca della gravidanza può risultare più difficoltosa del previsto, e più il tempo passa, più gli insuccessi aumentano, più le frustrazioni, ansia, stress diventano ingestibili. La rabbia diventa la compagna delle proprie giornate, i dubbi, i “perché?” sono martellanti sussurri nel silenzio dell’insonnia.
Solitamente dopo vari fallimenti, e dopo aver digerito un po’ di timori, la coppia si rivolge ad un clinico, frequentemente al medico di base, che poi propone suggerimenti sulle visite di elezione. Le analisi mirate vengono di norma prescritte dopo che le prove di gravidanza si reiterano per più di 12 mesi, dopo di che si può iniziare a parlare di infertilità. Questo termine fa riferimento alla mancanza di concepimento dopo tentativi che si prolungano da più di un anno; è sottinteso, ma è sempre meglio ripeterlo che questo periodo va conteggiato da quando si iniziano ad avere dei rapporti non protetti e finalizzati alla gravidanza.
Quando le indagini e gli esami specifici non mettono in luce nessuna problematica medica, allora si parla di un particolare tipo di sterilità, quella psicogena. L’aggettivo “psicogeno” sottolinea la natura non fisiologica di questa problematica che, è ormai assodato, ha le sue radici nella psiche della coppia che ne è coinvolta.
Ma quali possono essere le cause alla base di evento?
Sempre più clinici sono concordi che questo tipo di sterilità sia in grande aumento e che nell’ultimo decennio siano molto incrementati i casi di coppie che ne soffrono. Come per molti degli eventi che riguardano la sfera psichica, e l’interazione psicosomatica, non è sempre possibile rintracciare le cause alla base di questa problematica. Quello che possiamo sottolineare è che questa difficoltà sottintende temi di indurimento e di rigidità identitaria che molto spesso riguardano il sesso femminile. La gravidanza sembra essere immaginata, frequentemente nella mente delle donne, come un evento che determina un forte cambiamento, sia nella sfera psichica che in quella fisica; tale transizione è vissuta con sospetto, difficoltà e dubbio. L’incapacità di accogliere inconsciamente la transizione, quindi potrebbe essere alla base di questa problematica.
La gravidanza è gestita, tenuta sotto controllo, come se fosse una malattia, un ospite desiderato ma temibile, un tiranno accolto nell’intimità della nostra casa.
Diventare genitori, padri, ma soprattutto madri è vissuto come evento ambivalente, voluto e temuto, tuttavia mai fluidamente integrato. Il corpo è rigido, i tempi sono rigidi, le stesse idee, le modalità, i bisogni sono irrigiditi sotto il peso di un imperativo categorico: diventare genitori. Sono spesso le donne che soffrono maggiormente la perdita d’identità legata alla sterilità, mentre per l’uomo, solitamente, è minore il trauma, forse perché vissuto in modo meno biologico. L’uomo soffre tuttavia di più per la vergogna, quel senso di perdita e fallimento dovuto soprattutto a causa dello stereotipo dell’impotenza o di una perdita di virilità. L’uomo teme di essere giudicato negativamente perché mancante in qualcosa. Essere maschio, forte, attivo, performante è ancora fra i motivi che ricorrono nelle parole degli uomini che, con sbigottimento e sorpresa, si permettono momenti di lucidità.
Sono di più le donne che si rivolgono allo psicologo perché vivono il proprio corpo come un traditore. Nei colloqui emergono sentimenti di rabbia, colpa, tristezza oltre che un disagio profondissimo nei confronti del partner, vissuto, spesso, come ipocrita o fintamente accondiscendente. Realmente il senso di colpa, denso e vischioso, invade le viscere della gestazione, la sola vista di un ventre gravido e di una mamma con il proprio bambino, può essere vissuto con invidia, disagio, dolore, rammarico.
Tuttavia mente per le donne è più frequente, e culturalmente più “normale”, rivolgersi allo psicologo o al medico, il maschio vive in secondo piano il disagio: anche per lui qualcosa cambia anche se non ha parole per dichiararlo. A volte gli uomini, soprattutto in questi ambiti, soffrono dolori muti che non sanno descrivere perché nessuno gli ha insegnato (o forse non hanno imparato) le parole del cuore.
Ma questa non è una gara a chi sente o soffre di più e a chi comunica di meno: la scoperta di questa patologia implica per tutti quelli che sono coinvolti una perdita sia in termini di obiettivi individuali e collettivi, e coinvolge sia il piano psicologico ma anche quello sociale e relazionale. Non essere genitori significa non dare nipoti ai nonni, non dare nipoti agli zii, non andare a prendere il figlio a scuola, dare giustificazioni fino a che saremo sufficientemente stanchi e vecchi che nessuno ci chiederà più il perché, è non dare la possibilità a se stessi di portare aventi la propria matrice biologica, significa rinunciare a quel sogno di infinito.
Per accettare ciò che si sta prospettando è necessario avere tento coraggio, iniziare un lavoro di analisi delle tematiche che, come abbiamo detto, riempivano di significato il desiderio della gravidanza e non avere timore dei propri demoni.
Un punto fondamentale alla base della gestione di questo evento, che non solo in termini psicologici ma anche pragmatici, può essere paragonato ad un lutto, è cercare di analizzare, contenere e accogliere le emozioni e i sentimenti legati alla tematica del fallimento e dell’inadeguatezza.
Spesso, la coppia entra in una crisi profonda che riguarda l’ambito dei valori, dei desideri e dei sogni, ed è necessario, per la sua sopravvivenza e per la sua trasformazione mettere mano, in modo consapevole, alle fantasie e agli ideali che individualmente, o in modo collegiale, avevamo costruito attorno alla ideale gravidanza.
E’ necessario fare un salto in avanti, verso nuove prospettive, anche se con malinconia manteniamo un giudizio su ciò che idealmente era giusto per noi, e continuiamo ad essere arrabbiati con chi ce lo ha tolto o non ce lo ha concesso.
Non è detto che il processo psicologico, medico, psicoterapico sia sufficiente a favorire lo sblocco, soprattutto quando le coppie si presentano già dopo molti anni di tentativi, di fallimenti, di disagi ingoiati. Credo tuttavia che ragionare in termini di crescita e non di obiettivo, sia anche la cosa più onesta e l’unica possibile per diventare una coppia, genitoriale o non, più felice.